20 Apr La qualità del vino – marzo aprile 2010
Dalla rivista “Il Chianti e le terre del vino” – di G. Soldera
La situazione climatica è stata pessima: le piogge sono state intensissime dall’ottobre 2009. Ho terminato la potatura il 16 marzo, il terreno vitato è molto bagnato ed ho deciso che quest’anno, per la prima volta in 36 anni, non darò il letame ai terreni, ma seminerò un’erba particolare che, almeno si spera, asciugherà l’acqua in eccedenza. Sono molto preoccupato per l’andamento stagionale, ma devo dire che gli studi e le ricerche sulle mutazioni climatiche a Case Basse, che portiamo avanti da 6 anni con il Prof. Mario Fregoni ci stanno aiutando molto.
Nella cantina i vini stanno maturando bene ma c’è molto più lavoro per i travasi del 2009. Il monitoraggio continuo da parte dell’equipe di microbiologia del Prof. Massimo Vincenzini di tutti i vini ci dà tranquillità e sicurezza. I risultati delle ricerche ci confermano sempre più che la qualità del prodotto vino – cioè l’eleganza, l’armonia, le grandi sensazioni olfattive, la digeribilità, la sanità dell’uomo, la grande piacevolezza – derivano dal terreno, dall’habitat, dalla capacità del coltivatore di gestire il tutto in modo da portare una piccola quantità di uva matura e sana, che peraltro deve essere vinificata esclusivamente con lieviti autoctoni, in grandi tini di rovere stagionato, senza controllo della temperatura. Sono solo i microrganismi che possono trasferire tutte le sostanze benefiche esistenti sulla buccia dell’uva nel vino e perciò dare allo stesso la possibilità di durare 50 e più anni, dando così, a chi lo beve, la possibilità di gioire di un grande vino. L’altra sera con degli amici ho avuto il privilegio di ricordare il mio carissimo amico Giovanni bevendo una magnum di Monfortino 1970 della mia riserva: è stato un momento indimenticabile assaporare un vino che, dopo 40 anni, è ancora giovanissimo; bene questo vino è stato fatto come ho sopra descritto: uva grandissima, lieviti autoctoni, 6 anni di permanenza in grandi botti di rovere molto stagionato, nessun sentore né profumo di quercia, che è sostanza diversa dall’uva.
Le prossime elezioni del consiglio del Consorzio del Brunello possono essere un momento di grande importanza per eleggere persone con programmi lungimiranti e di grandi capacità; nei momenti di crisi dobbiamo pensare in grande, il che non vuole dire spendere di più, anzi, si deve spendere di meno e meglio, significa mettersi sempre in discussione, cercare l’innovazione continua, porsi dei traguardi ambiziosi, eseguire verifiche continue con i massimi esperti mondiali, non avere mai paura del confronto, ma, anzi, cercarlo sempre. Questo è quanto ho scritto nel numero VII del febbraio 2007 di questa rivista, purtroppo penso si possa dire che in questi tre anni la situazione è molto peggiorata da allora.
La magistratura di Siena ha ottenuto dal GIP il sequestro di ingentissime quantità di vini Chianti DOCG (o atto a divenire) delle annate 2003/2005/2006/2007/2008, IGT Rosso 2005/2006/2007/2008, IGT Maremma 2006. Purtroppo risultano coinvolti enologi conosciutissimi ed aziende chiantigiane di grande rilevanza. Dobbiamo essere molto riconoscenti alle forze dell’ordine ed alla magistratura, che scoprono continuamente cibi e medicine scadute (15 tonnellate sequestrate al porto di Livorno), falso Prosecco (14.400 bottiglie destinate all’Inghilterra); NAS di Firenze sequestrano 160.000 litri di vino a Fiesole; a Follonica la ASL di Grosseto ha sequestrato 2 tonnellate di pesce non idoneo al consumo umano.
L’andamento del mercato mondiale è in piena crisi, i produttori di vino hanno eccedenze di vini in cantina ed i prezzi all’origine sono caduti verticalmente; gli importatori acquistano solo quanto già venduto ai loro clienti.
A mio parere, per il vino, esiste una sola via: produrre vini di assoluta qualità e riconoscibili. Nel febbraio 2007 ho scritto nel mio capitolo VII di questa rivista:
“A mio avviso, le nostre possibilità di controbattere questa situazione di estrema difficoltà stanno solo nella nostra capacità di produrre vini di altissima qualità, assolutamente diversi dai vini internazionali, espressione vera del vitigno e del micro-territorio, prodotti dall’uomo e non dalla tecnologia, frutto di studi, ricerche, sperimentazioni universitarie, dobbiamo inoltre sviluppare e valorizzare il territorio sia migliorandolonella ricettività, nei servizi, nell’accoglienza (più professionalità, più preparazione, più cultura fra gli operatori e fra tutti coloro che in qualsiasi modo vengono a contatto con i turisti, e ciò vuol dire anche più controlli). Bisogna organizzare eventi di alto livello affinché il consumatore del grande vino sia invogliato a venire, bisogna avvalersi di tutta la provincia di Siena, terra ancora incontaminata, di rara bellezza e con opere d’arte di valore mondiale; è necessario quindi creare e diffondere l’immagine di un vino e di un territorio unici al mondo.”
Aprire nuovi mercati è utile ma ricordiamoci che la Cina nel 2009 ha prodotto 8,12 Milioni di Hl. di vino con un incremento del 21,8% rispetto al 2008, cioè 1/6 della intera produzione italiana: con queste percentuali di incremento fra pochi anni avremo l’invasione dei vini cinesi a bassissimo prezzo.
Nel mese di febbraio ricorreva il 50° anniversario della morte di Adriano Olivetti, uomo di assoluto valore mondiale, fondatore della “Comunità”, industriale che aveva portato l’elettronica italiana ad essere la prima la mondo, economista che aveva sviluppato in modo unico la ricerca, la scienza e l’etica al servizio dell’uomo e della comunità; Ivrea, il Canavese erano divenute il centro di un crogiuolo di scienziati, architetti, urbanisti, economisti, sociologi tutti tesi a creare l’industria, che dava ricchezza a tutti, con asili, scuole, case, teatri; naturalmente le sue idee e le sue attività davano fastidio alla finanza ed alla grande industria, tant’è che poco dopo la sua morte, Vittorio Valletta, (allora presidente Fiat) e Mediobanca (cioè chi contava nella finanza e nell’industria italiana dell’epoca) decisero di vendere la divisione elettronica, sita a Pisa, agli americani, che furono ben lieti di diventare allora i primi nel mondo; è stata storica la frase pronunciata da un importantissimo industriale di quell’epoca: “Olivetti un neo da estirpare”.
Olivetti aveva portato le sue fabbriche a Pozzuoli, a Matera, in Abruzzo oltre che a Pisa e ogni fabbrica era costruita a misura d’uomo perché questi trovasse nel suo ordinato posto di lavoro uno strumento di riscatto e non un congegno di sofferenza. Sessant’ anni dopo quello stabilimento, con vista mare e con un grande giardino disegnato da Pietro Pacinai, conserva la luce e la linearità che ne fecero un edificio modello.
Penso che Adriano Olivetti e le sue opere dovrebbero essere insegnate in tutte le scuole anche come esempio di quanto l’uomo sia in grado di fare.