20 Apr La qualità del vino – aprile 2011
Dalla rivista “Il Chianti e le terre del vino” – di G. Soldera
La situazione climatica è stata molto brutta in gennaio, ma, per fortuna, è migliorata dopo il 10 di febbraio e ciò mi ha permesso di effettuare la potatura, invernale con viti asciutte con clima rigido; le operazioni di potatura seguite immediatamente dalla disinfezione e cicatrizzazione di ogni taglio (se si ritarda, l’acqua e/o l’umidità entra dal taglio e produce danni alla pianta), sono essenziali per il futuro raccolto, certamente bisogna che il potino conosca molto bene ogni pianta, che deve essere potata in modo diverso per poter ottenere un buon prodotto uva dopo sette mesi; anche quest’anno non letamerò le vigne, ma darò lignina ed altre sostanze vegetali per compensare, in parte, il consumo di dette sostanze nell’annata trascorsa.
Il Prof. Mario Fregoni nell’editoriale “La vigoria vista dal cielo” della rivista VQ (ottobre del 2010) scrive: “Un pensiero, che si è manifestato con continuità per circa cinquant’anni nella professione di chi scrive, è quello della relazione fra vigore della vite, quantità e qualità della produzione. La vigoria si può definire semplicemente come peso della vegetazione, dipendente dalla lunghezza e dal peso dei tralci, nonché dalla superficie fogliare. Questi parametri sono correlati fra loro e con la quantità dell’uva, con la grandezza dei grappoli e con il rapporto fra buccia e polpa. La vigoria dipende dal terroir, inteso come natura e fertilità del terreno, clima, fertilità del vitigno, portainnesto e tecniche colturali, fra le quali emergono la densità di piantagione, la forma di allevamento, la carica di gemme – e di conseguenza di grappoli – per ceppo, l’irrigazione, la concimazione azotata, la presenza o meno dell’inerbimento…
In sostanza, noi abbiamo sempre sostenuto che la qualità del vino è inversamente proporzionale alla vigoria e alla quantità dell’uva per ceppo. I detrattori di questo assioma sono numerosi, ma non hanno mai realizzato grandi vini e propugnano vigneti molto vigorosi, forme di allevamento espanse, anche in climi caldo-aridi, e di cariche di grappoli elevate, sostenendo la compatibilità di quantità e qualità e pertanto l’utilità di vigorie elevate, superfici fogliari ampie ecc… La conseguenza della vigoria elevata è una fisiologia proteica, mentre la vigoria moderata determina una fisiologia glucidica. La vigoria elevata si manifesta con un prolungamento vegetativo, una crescita dei germogli che va oltre l’invaiatura, una concorrenza nutrizionale fra apici in crescita e depositi di metaboliti secondari nobili negli acini. Ne derivano grappoli e acini più grandi, nei quali la quantità di polpa sovrasta eccessivamente il peso della buccia, vini di sapore erbaceo e, come si è più volte scritto, simili a spremute di prateria. Del resto, il sapore erbaceo sta prevalendo nel mondo del vino. Ebbene, in soccorso della teoria vigore versus qualità giunge il telerilevamento – satellitare o aereo o da terra – che fotografa il vigore basandosi sull’ampiezza della superficie fogliare riflettente. Da alcuni anni, le ricerche sulla viticoltura di precisione, classificando i vigneti e le porzioni di essi in base agli indici di vigoria, rilevano la necessità di separare le vendemmie dei ceppi vigorosi da quelle provenienti da ceppi a moderato o basso vigore. I vini di questi ultimi sono infatti di qualità più complessa, più invecchiabili, più ricchi di polifenoli (antociani e tannini non astringenti) e di aromi perché derivano da acini più piccoli. Le ripetute conferme, che vengono dall’innovazione tecnologica, fanno piacere a chi ha sempre creduto in una certa filosofia e inducono a moderare lo sviluppo dei vigneti. I vini comuni, da viti vigorose, sono facili da produrre, ma restano nelle cantine o ne escono a prezzi inferiori a quelli dell’acqua minerale.” Naturalmente condivido totalmente quanto scritto dal Prof. Fregoni.
Passando a tematiche diverse, in questi giorni quattro importanti Ministri di grandi nazioni, tre UE e 1 extra-UE, si sono dimessi o sono stati dimissionati dai loro capi di governo, per aver:
1) Copiato in parte un testo senza aver indicato nell’elaborato che era una copiatura.
2) Aver usato, durante le ferie, un aereo di un capo di stato estero.
3) Aver usato impropriamente mezzi dello stato (piccole cose).
4) Aver accettato 450 euro (dico quattrocentocinquanta euro) di contributo elettorale da una signora estera.
5) C’è un altro caso di dimissioni eccellenti in USA, la presidente della radio pubblica nazionale si è dimessa perché un suo stretto collaboratore aveva fatto affermazioni incaute.
Bene, sono sempre del parere che chi sbaglia deve pagare e perciò plaudo il comportamento di chi capisce ed ammette di doversi dimettere per aver sbagliato; non posso peraltro non sottolineare che in Italia un altissimo esponente della burocrazia di Stato è stato ritenuto colpevole dalla magistratura di vari reati ed allontanato dal Suo altissimo incarico, peccato che successivamente sia stato eletto parlamentare; cosa che mai succederà nei 5 Stati interessati sopra riportati purtroppo per l’Italia gli esempi, che vengono dati ai giovani porteranno le prossime generazioni ad accettare qualsiasi compromesso, distruggendo così l’etica, la morale e di conseguenza, la giustizia; io spero vivamente di sbagliarmi in queste considerazioni, ma certamente dobbiamo ritrovare i veri valori del vivere civile.
E’ con grande piacere che riporto quanto Virgilio nelle Georgiche (Intr. di A. La Penna, Rizzoli editore Milano, 1983 pagg. 313-315, traduzione di Luca Canali) scrive:
“infatti ricordo sotto le torri della rocca ebalia,
per dove il bruno Galeso bagna bionde coltivazioni,
di aver veduto un vecchio di Corico, che possedeva
pochi iugeri di terra abbandonata, infeconda ai giovenchi,
inadatta alla pastura di armenti, inopportuna a Bacco.
Questi tuttavia, piantando radi erbaggi fra gli sterpi,
e intorno bianchi gigli e verbene e il fragile papavero,
uguagliava nell’animo le ricchezze dei re, e tornando a casa
tornando a casa colmava la mensa di cibi non comprati.
Primo a cogliere la rosa in primavera e in autunno a cogliere i frutti,
quando ancora il triste inverno spaccava i sassi
con il freddo e arrestava con il ghiaccio il corso delle acque,
egli già tosava la chioma del molle giacinto
rimproverando l’estate che tardava e gli Zefiri indugianti.
Dunque era anche il primo ad a vere copiosa prole
di api e uno sciame numeroso, e a raccogliere miele
schiumante dai favi premuti; aveva tigli e rigogliosi pini,
e di quanti frutti, al nuovo fiorire, il fertile albero
si fosse rivestito altrettanti in autunno portava maturi.
Egli ancora trapiantò olmi tardivi in filari,
e duri peri e prugni che ormai producevano susine,
e il platano che già spandeva ombra sui bevitori.
Ma impedito a ciò dall’avaro spazio, tralascio, e affido
questi argomenti ad altri che li celebrino dopo di me.”
Già gli antichi sapevano che dipendeva dall’uomo, se un terreno infecondo ai giovenchi, inopportuno a Bacco, ecc. ecc., poteva diventare un EDEN, se coltivato come la natura, la terra, quell’’habitat richiedevano.
Un’ultima considerazione sia economica sia sociale, mi porta ad esaltare la politica industriale tedesca, che sta attraversando un periodo molto felice e, a mio avviso, sta raccogliendo i frutti degli investimenti fatti non all’estero (come abbiamo in gran parte fatto noi delocalizzando in paesi a bassi costi del lavoro buona parte delle nostre industrie, ricavandone però manufatti di basso costo e di basso valore,) ma in Germania; un esempio emblematico è la Volkswagen che continua ad investire nel paese e conta di aumentare in Germania di 50.000 unità entro il 2018 i dipendenti attuali; nei programmi è previsto di superare, entro il 2018, la produzione di auto Toyota, che è attualmente la prima nel mondo.
La ricchezza di una nazione è, a mio parere, nella conoscenza, nei brevetti, nella ricerca, nella sperimentazione, nello studio; la ricchezza si crea nell’industria, nell’agricoltura, nel turismo, nelle assicurazioni, meno nel commercio e nelle banche, se vengono usate come rendite parassitarie; lo Stato deve investire molto nell’istruzione e nella ricerca, ma il mondo economico deve fare la sua parte; forse dobbiamo arrivare a pensare che il vecchissimo proverbio “aiutati che il ciel ti aiuta” sia di assoluta attualità, se vogliamo uscire da questa lunghissima crisi economica.
Con il ventottesimo capitolo, inizio il sesto anno di collaborazione con l’amico Andrea Cappelli a “Il Chianti e le terre del vino”: permettetemi di ringraziarLo per avermi dato la possibilità di scrivere liberamente il mio pensiero.