04 Lug La qualità del vino – gennaio febbraio marzo 2016
Gianfranco Soldera per la rivista Oinos
L’andamento stagionale è stato caratterizzato da piogge e poco freddo e anche la potatura, iniziata l’8 febbraio, ne ha risentito; ai primi di marzo c’è stato un abbassamento delle temperature e speriamo che le gemme tardino a sviluppare.
Quest’anno ho provveduto alla sostituzione di viti morte in un vigneto; operazione molto complessa con scavo profondo ed asportazione della terra nel periodo più caldo della stagione e successiva sostituzione della terra a novembre con l’impianto delle viti nuove: sono molto soddisfatto del lavoro e sempre più convinto che la terra vitata, per fare grandissimi vini, deve avere le seguenti caratteristiche: terreno povero in superficie; molto drenante; ricco di frantumatori; ricco di minerali; la vite in estate deve soffrire la siccità superficialmente, così è costretta a cercare l’acqua in profondità, in modo che, con l’acqua, assorba anche i minerali; cercare un terreno non vitato in zone particolarmente vocate, in modo da poter studiare molto approfonditamente il suolo, il sottosuolo, l’esposizione, il possibile inquinamento, i venti, la situazione climatica, la luce, la frequenza della grandine e i boschi vicini.
A questo punto la qualità impone una rigorosa preparazione del terreno, perciò: assolutamente vietati i diserbanti, ma solo lavorazioni superficiali per estirpare le infestanti; letamazione con integrazione di minerali (se occorrono); interramento; semina di essenze da sovesciare anche per emendare il terreno; scasso con escavatore con contemporaneo spietramento manuale da farsi in pieno solleone, in ogni caso con terreno assolutamente asciutto; affinamento, con mezzi idonei a quel terreno, della superficie con relativo nuovo spietramento manuale; dobbiamo avere ben presente che una vigna deve durare oltre cinquant’anni e qualsiasi errore nella preparazione del terreno pregiudica la durata della vite e perciò viene diminuita la qualità del prodotto uva e del corrispondente prodotto vino.
Impianto, altro tema centrale e importantissimo: studio dei migliori portainnesti per quel particolare terreno, in funzione dell’habitat specifico e della qualità finale delle uve, perciò quantità, peso, conformazione del grappolo e degli acini; marze di viti autoctone ambientate in quella microzona con quel microclima da tantissimi anni; tenere ben presente che qualsiasi prodotto che si produce ovunque, che non risente delle variabili clima-terra, che è replicabile, copiabile, sempre uguale, è sicuramente un prodotto di poca qualità e manca completamente dei requisiti indispensabili per un prodotto di grande valore, che sono la rarità, l’unicità, la diversità, la tipicità, l’identificabilità; la preparazione delle buche per la piantagione manuale delle barbatelle è un’altra operazione delicatissima, che incide notevolmente nella durata, forza e sanità della vite e dell’uva; la composizione terra/letame, il drenaggio e la friabilità della terra sottostante e circostante alla vite piantata sono essenziali e richiedono manodopera esperta, concentrata e soprattutto l’attenta e costante presenza del proprietario viticultore; naturalmente il costo di queste operazioni è di circa 10 volte superiore all’impianto con le macchine.
Il 27 febbraio 1960 moriva Adriano Olivetti, uomo eccezionale e di scienza, industriale visionario, innovatore. Alla sua Olivetti si deve anche il P101 (o Perottina, da Pier Giorgio Perotto, l’ingegnere che ne fu l’artefice), che anticipava di oltre dieci anni, i futuri personal computer:”Della Olivetti – scrisse Perotto – avevo conosciuto, prima delle frequentazioni eporediesi, i circoli più esterni o di più recente acquisizione, come quelli che gravitavano attorno al laboratorio elettronico, fatti di scienziati, fisici, ingegneri, strani personaggi classificabili come filosofi (si dedicavano a concepire qualcosa che allora non aveva un nome e che sarebbe poi diventato il software), architetti (come Ettore Scottsass jr., ai suoi primi esperimenti d’industrial design), letterati e poeti, reclutati per descrivere e raccontare al pubblico, in modo suadente, le noiose e farraginose prestazioni e funzioni dei calcolatori, ma non immaginavo quanto strano e singolare fosse anche il nucleo storico della società a Ivrea”. Più strano e singolare ancora era il gruppo d’ingegneri elettronici che l’Olivetti aveva messo ai margini e che si votarono (praticamente in segreto) al concepimento del P101 e alla nascente rivoluzione digitale.
Fu un successo straordinario e per Olivetti (come per l’Italia, dove il boom era agli sgoccioli e iniziava la stagione del debito pubblico) la più straordinaria delle occasioni mancate. Alla fiera di New York, nel 1965, quando il P101 fu presentato al pubblico, lo stand Olivetti venne preso d’assalto e della Perottina parlarono tutti i giornali, da una costa all’altra. Piovvero premi e riconoscimenti. C’era un P101 sulle scrivanie della Nasa durante le missioni Apollo. Mai prodotto industriale italiano, macchine per scrivere comprese, ebbe altrettanto successo in così breve tempo, né fu altrettanto rapidamente dimenticato.
La storia delle tabelline è molto istruttiva (non so se nelle elementari si studiano ancora a memoria, ma nei miei ricordi delle scuole elementari, le tabelline venivano studiate a memoria ed io le ricordo ancora dopo oltre settant’anni): dunque, un indiano di nome Brahmagupta scrisse nel 628 d.C. un trattato di aritmetica nel quale introduceva nel sistema decimale il numero zero (né Egizi né Greci né Romani conoscevano il numero zero). Con lo zero tutto sarebbe stato più semplice. È stato inventato dagli indiani (dell’India), non dagli arabi. Avendo le cifre dall’uno al nove – e aggiungendo lo zero – si potevano scrivere tutti i numeri possibili. Nel suo trattato Brahmagupta dimostrava come si potevano fare le operazioni aritmetiche usando soltanto le dieci cifre. L’unica cosa che ti serviva sapere erano le tabelline, dallo zero al nove. Se le conosci a memoria, sei in grado ad esempio di moltiplicare qualsiasi numero, perché il sistema prevedeva di moltiplicare due cifre per volta.
Era una rivoluzione e, come tale, all’inizio fu avversata. Lo studio delle tabelline e del sistema decimale fu introdotto fin da subito nelle scuole indiane, poi verso l’Ottocento la corte persiana lo fece adottare a tutto il mondo arabo. E finalmente, da buoni ultimi, arrivò in Europa, grazie al matematico toscano Leonardo Pisano, detto il Fibonacci.
L’accoglienza fu tiepida. Gli studiosi si divisero tra i sostenitori del nuovo metodo e i difensori dell’antico pallottoliere. Una diatriba che è andata avanti per due-tre secoli, tanto che ancora nel 1499 a Firenze veniva emanata un’ordinanza che proibiva sul territorio l’uso del sistema decimale, perché lo zero si poteva falsificare! Poteva diventare un sei o un nove con una piccola aggiunta fraudolenta, e dunque lo ritenevano poco sicuro per tenere la contabilità. Ma, con l’arrivo della stampa, dal Cinquecento in poi, con ci fu niente da fare: le tabelline diventarono un pilastro dell’educazione in ogni scuola. Bisogna impararle a memoria, non c’è altro metodo.
Henry Ford nell’ottobre del 1913 introduce un processo lavorativo, che riduce i tempi di montaggio delle auto e migliora il lavoro degli operai: “La catena di montaggio”. Ford aveva come obiettivo, sin dall’inizio del secolo di abbattere i prezzi dei suoi veicoli e aumentare i salari dei suoi operai, in modo che, con un mese di paga, fosse possibile acquistare una delle utilitarie che produceva. Le ore necessarie per assemblare un’auto, prima dell’introduzione della catena di montaggio nella fabbrica Ford erano venti, dopo solo tre ore – il costo della Ford T nel 1908 era 850 dollari, nel 2016 è 260 dollari – non solo aumentò i salari, ma ridusse le ore giornaliere a otto e la settimana lavorativa a cinque giorni.
Si è concluso il dramma della Banca Popolare di Vicenza, presieduta per 19 anni da un noto esponente del mondo vino: gli azionisti hanno perso circa il 95% del valore del loro investimento, gli analisti stimano in cinque miliardi di euro la perdita subita, l’assemblea dei soci ha stabilito la trasformazione in S.p.A. della Banca e la sottoscrizione di un aumento di oltre 1,7miliardi di euro.
Le considerazioni che mi sorgono spontanee sono:com’è possibile che l’attuale C.d.A. sia composto ancora da 12 persone presenti nel vecchio C.d.A. che ha amministrato tali perdite?; com’è possibile che il collegio sindacale sia lo stesso?; com’è possibile che le autorità di sorveglianza non si siano rese conto di perdite così rilevanti? com’è possibile che per ora non ci siano azioni di responsabilità nei confronti di chi ha amministrato, controllato, gestito la banca?
È inoltre emblematico l’enorme impatto mediatico sollevato dal commissariamento della Banca Etruria (con perdite assolutamente inferiori rispetto a quelle della Banca Popolare di Vicenza) e quello praticamente inesistente per queste perdite, che coinvolgono 117mila soci: forse la differenza sta nella lotta politica contro il governo Renzi.
I dati ISTAT per il 2015 hanno rilevato: mai così poche nascite dall’unità d’Italia; 100mila italiani si sono cancellati dall’anagrafe e si sono trasferiti all’estero diventando cittadini di altre nazioni; diminuisce sia la popolazione in età attiva (dai 15 ai 64 anni = 39 milioni pari al 64,3%); sia quella sino a 14 anni (=8.300.000 pari al 13,7%); s’abbassa anche l’aspettativa di vita: per gli uomini da 80,3 anni nel 2014 a 80,1 mentre per le donne rispettivamente da 85 anni a 84,7; è aumentata del 12% la migrazione di italiani verso l’estero; gli italiani sono 55.602.000, perciò diminuiti di ben 179mila rispetto al 2014.
Una ricerca medica inglese, pubblicata sul Journal of Gerontology, sostiene che leggere ogni giorno allunga la vita: “La narrativa di qualità” aumenta le abilità di comprensione delle relazioni sociali, l’intuizione dei sentimenti, dei pensieri e delle relazioni degli altri, infatti i lettori mettono in gioco risorse interpretative per dedurre stati d’animo e ragionamenti dei personaggi, sollecitando funzioni sofisticate, perciò un buon romanzo “massaggia” i neuroni.
Credo che anche ascoltare buona musica, conversare, scrivere, ammirare la natura e l’arte siano importanti per vivere bene.
Uno degli aforismi di Enzo Ferrari è “In Italia si perdona tutto tranne il successo”…Penso che sia attualissimo.
Cosa ne pensate?